Perchè le misure di radiazione beta sono complesse?
L’obiettivo principale della radioprotezione è valutare dosi di radiazione. Nella maggior parte dei casi si tratta di dosi da esposizione a radiazione fotonica, X o gamma, ed il compito è relativamente semplice: una lettura di strumento e via. Ovviamente, come la buona professionalità e la legge prescrivono, lo strumento deve essere stato preventivamente tarato in un campo di radiazione di energia nota, e noto in tutte le sue caratteristiche, cosicché il dato di lettura, eventualmente corretto in base a dati essi pure noti dello strumento o delle circostanze della misura, è subito utilizzabile per stabilire il rateo di dose e la dose impartita alla persona esposta; inoltre per la delimitazione delle zone classificate e per la classificazione del personale esposto o non esposto professionalmente. Desidero sottolineare che in questi casi pure assai frequenti, almeno un dato è sufficientemente noto, cioè l’energia della radiazione.
In altre circostanze anche abbastanza ricorrenti nell’ambiente industriale, nelle quali occorre parimenti giungere a stabilire la dose di esposizione, segnatamente nel caso di radiazione beta, che qualcuno liquida superficialmente come di scarso interesse perché poco penetrante (forse proprio per questo è maggiormente nociva dove riesce a giungere, perciò la dose va obbligatoriamente valutata, avendo in mente organi esposti come la pelle ed i cristallini degli occhi). Del resto è sempre possibile simulare un’esposizione ad elettroni di energie anche relativamente modeste per rendersi conto che vi sono giustificati motivi per affrontare il lavoro. Sfortunatamente la radiazione beta, come si sa, è affetta da “antineutrino”, il quale si porta via una parte consistente della energia del decadimento, senza peraltro depositarla da nessuna parte (esperienze calorimetriche per l’energia media di Ellis e Wooster, 1927, e di Meithner e Orthman, 1930), quindi non contribuendo alla dose. Inoltre i beta sono accompagnati da X di frenamento, che alla dose contribuiscono, ma che vanno determinati a parte. (Pare incredibile, ma mi è capitato, in passato, di vedere effettuare misure in campi di radiazione beta con camere di ionizzazione, e soltanto con quelle. Dato e non concesso che la camera, di solito assai poco sensibile, avesse indicato qualcosa, forse si trattava della radiazione X, sporcata eventualmente dal contributo di qualche beta che aveva interagito comunque con la camera, che peraltro resta sensibile anche alla radiazione beta pervenuta attraverso la finestra sottile, se c'è, pur senza essere ovviamente in grado di misurarla in termini di dose, dando misure in termini di R o sottomultipli, e come tale essendo stata presumibilmente tarata).
Quindi il lavoro si presenta complesso, e mette alla prova un po’ tutte le conoscenze teoriche ed operative di un Esperto qualificato. Prima di tutto, usando filtri adeguati ed un contatore Geiger, occorre separare beta da X per studiarli ognuno per conto suo. Dai numeri che vengono fuori, si vede spesso che la componente X è poco rilevante, va soltanto a variare in qualche modo il fondo ambientale. Allora resta da valutare la componente beta. Raccogliendo serie numerose di conteggi a distanze diverse dalla sorgente, e di tanto in tanto interponendo filtri di un materiale assorbente, per esempio alluminio, si può trovare il coefficiente di assorbimento di massa dell’alluminio, che è circa lo stesso per il tessuto vivente, e con un (bel) po’ di lavoro a tavolino si può cercare, anche con (scarsi) dati della letteratura, di determinare il valore della energia alle distanze alle quali si erano usati i filtri e poi anche le dosi e le dosi profonde. E’ appena il caso di notare che i dati grezzi per il lavoro ce li può fornire soltanto un contatore Geiger, di cui tuttavia si conoscano bene le caratteristiche, geometriche e fisiche, della finestra. Una nota di doverosa cautela: le tarature dei Geiger di molti Centri di Taratura sono utili per verificare la costanza dei ratei di conteggio, e null’altro; perché questo è ciò che dobbiamo attenderci da un Geiger, ed è ciò che serve; non certo valori di dose.
Un approccio fondamentalmente simile è riportato anche dal prof. ing. D. Mostacci, DIENCA, Facoltà di Ingegneria UniBo, negli Appunti del corso di Protezione dalle radiazioni, parte IV.